Mario Giacomelli: il maestro della fotografia italiana in bianco e nero
“La fotografia è una cosa semplice. A condizione di avere qualcosa da dire.”
— Mario Giacomelli
Mario Giacomelli nasce a Senigallia nel 1925. A soli dieci anni perde il padre e si trova costretto a lavorare per aiutare la famiglia. Inizia come garzone in una tipografia e, dopo la guerra, riesce ad aprire una propria attività: la Tipografia Marchigiana, che rimarrà per tutta la vita la sua principale fonte di sostentamento.
Gli inizi e il gruppo MISA
Intorno ai trent’anni incontra Ferruccio Ferroni, fotografo marchigiano di grande talento. Grazie a lui nasce una passione destinata a diventare centrale nella sua vita: la fotografia. Giacomelli entra così a far parte del circolo MISA, un gruppo di fotografi di Senigallia che segnerà profondamente la sua formazione artistica.
Il periodo più prolifico della sua carriera si colloca tra il 1953 e il 1963, anni in cui realizza molti degli scatti che lo renderanno celebre a livello internazionale. Le fotografie, a metà tra reportage, street photography e still life, vengono spesso organizzate in serie, vere e proprie narrazioni visive.
Paesaggi e persone: i grandi temi
I temi ricorrenti nell’opera di Giacomelli sono le persone e i paesaggi.
I paesaggi naturali, spesso monumentali, raccontano le colline, il mare e la terra marchigiana. Sono immagini in cui la presenza umana è talvolta distante, suggerita, e in cui dominano armonia, simmetria e forza primitiva della natura.
Le persone, invece, rappresentano un’umanità autentica e profondamente italiana:
i preti di “Io non ho mani che mi accarezzano il volto”,
i malati di “Lourdes”,
i contadini e i cittadini di “Puglia”,
gli anziani di “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e “Ospizio”.
Memoria, oggetti e poesia
La passione per l’antico, per la memoria e per i segni del tempo emerge anche nei suoi still life: nature morte, botteghe, altari e collezioni di oggetti polverosi raccontano un mondo umile e concreto, consumato dall’usura, ma ricco di poesia visiva.
In ciò che è vecchio, fragile e imperfetto, Giacomelli trova bellezza.
Il bianco e nero come linguaggio
Giacomelli inizia a fotografare in bianco e nero, e questo resterà per sempre il tratto distintivo della sua poetica.
Il bianco e nero non è mai neutro: è estremo, esasperato, con contrasti fortissimi e un uso quasi totale dell’assenza di grigi.
Questa scelta trasforma la forma e la consistenza dell’immagine, guidando lo sguardo dello spettatore e rendendo ogni fotografia immediatamente riconoscibile.
Riconoscimenti internazionali
La serie “Scanno”, realizzata nell’omonimo paese abruzzese, attira l’attenzione di John Szarkowski, allora direttore del MoMA di New York, che la include nella storica mostra “The Photographer’s Eye”, accanto alle opere di Bresson, Frank, Erwitt, Doisneau e altri grandi maestri.
È il riconoscimento internazionale definitivo.
Le ultime ricerche e l’eredità
Tra gli anni ’70 e ’80, Giacomelli sperimenta anche il colore, si ispira alla letteratura e approfondisce una dimensione più onirica e astratta della realtà.
Tra il 1983 e il 1987 realizza “Il mare dei miei racconti”, una serie di scatti aerei delle spiagge marchigiane.
Affascinato dal movimento e dalle limitazioni tecniche della macchina fotografica, Giacomelli utilizza grana, imperfezioni e inquadrature surreali per creare immagini malinconiche, sospese, cariche di introspezione.
Tra le ultime raccolte, “Stati d’animo” è dedicata a un servizio di tazzine Illy, decorate con alcune delle sue fotografie più celebri.
Mario Giacomelli muore a Senigallia nel 2000, lasciando un’eredità artistica immensa. Con decine di mostre nei più importanti luoghi della cultura italiana e internazionale, è oggi considerato uno dei più grandi fotografi italiani di sempre.
“In fondo fotografare è come scrivere: il paesaggio è pieno di segni, di simboli, di ferite, di cose nascoste.”
Mario Giacomelli alla Domi Gallery
👉 Scrivici o passa in galleria per scoprire quale opera originale di Mario Giacomelli è attualmente disponibile alla Domi Gallery.
Ti aspettiamo.
